Come ogni anno, il 14 novembre torna la Giornata Mondiale del Diabete, una ricorrenza che si ripete fin dal 1992.
È una delle condizioni patologiche più diffuse e in crescita al mondo, responsabile di ben 1,5 milioni di decessi e di oltre 422 milioni di nuovi malati ogni anno. Si tratta del diabete mellito, una condizione patologica che, solo nel nostro Paese, presenta una percentuale di persone affette di circa il 5,9% rispetto all’intera popolazione, pari a oltre 3,5 milioni di individui.
Appunto per questo motivo, nel 1992 la Federazione Internazionale del Diabete e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno lanciato la Giornata Mondiale del Diabete, che si tiene ogni anno il 14 novembre, giorno dell’anniversario della nascita del fisiologo canadese Frederick Banting, al quale viene attribuita la scoperta dell’insulina insieme a John Macleod, Charles Best e James Collip. Un’iniziativa, questa, che prende origine dalla risoluzione 61/225 adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006, che riconosce il diabete come “una malattia cronica, invalidante e costosa che comporta gravi complicanze”.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità distingue due forme principali di diabete: il diabete mellito di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2, alle quali si aggiungono il diabete gestazionale e altre forme meno comuni.
In caso di diabete di tipo 1, la produzione di insulina viene soppressa o notevolmente ridotta a causa della distruzione delle cellule beta del pancreas ad opera del sistema immunitario. Nel diabete di tipo 2, invece, l’insulina non viene prodotta in quantità sufficiente, oppure non agisce in maniera efficace. La forma di diabete più diffusa è la 2 che interessa maggiormente la popolazione adulta e ha tra le cause principali il sovrappeso che, a sua volta, è in genere riferibile a un’alimentazione scorretta e al poco movimento. Il diabete di tipo 1 è invece una malattia autoimmune e di solito si manifesta nei primi 10-20 anni di vita. La prevalenza del diabete aumenta difatti al crescere dell’età fino a raggiungere una quota del 21% nelle persone con età uguale o superiore a 75 anni.
Nella grande maggioranza dei casi la malattia non dà alcun sintomo: se presenti, si tratta in genere di sete intensa, necessità di urinare spesso con urine abbondanti e stanchezza profusa. Nel diabete tipo 1 vi può essere anche perdita di peso e l’insorgenza della malattia può essere brusco con febbre, malessere, sonnolenza e odore di acetone nell’alito. Nel diabete tipo 2 spesso la diagnosi è del tutto casuale e viene fatta in una persona che sta sostanzialmente bene in occasione di esami di laboratorio.
Le altre manifestazioni cliniche del diabete, insorgono invece nel medio-lungo periodo sotto forma di complicazioni, direttamente correlate al grado di iperglicemia e di scompenso metabolico. Le principali sono in genere: neuropatie, pelle secca, visione offuscata, facilità nel sviluppare infezioni, rallentata guarigione delle ferite, prurito cutaneo, disturbi renali, ipertensione, incontinenza urinaria, disfagia, reflusso gastro-esofageo, stipsi, nausea, vomito, diarrea, irritabilità.
Per quanto riguarda invece i principali fattori di rischio, oltre alla familiarità e a una glicemia o tasso di emoglobina glicata non ottimale, si possono elencare l’ipertensione, il sovrappeso, l’iperalimentazione, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, un basso tasso di colesterolo HDL, l’elevata quantità di trigliceridi, l’elevata uricemia, e l’età avanzata.
Un problema, quello del diabete, il cui impatto non è visibile solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello sociale ed economico: basti pensare che la riduzione di aspettativa di vita nella persona con diabete non in controllo metabolico è di 7-8 anni, il 60% almeno della mortalità per malattie cardiovascolari è associata al diabete, il 38% delle persone con diabete ha insufficienza renale che può portare alla dialisi, il 22% delle persone con diabete ha retinopatia, il 3% delle persone con diabete ha problemi agli arti inferiori e piedi. Senza contare che il 32% dei soggetti risulta in età lavorativa con prevalenza del 10% fra le persone di 50-69 anni. Circa l’8% del budget in carico al Sistema Sanitario Nazionale viene difatti assorbito dal diabete, con oltre 9,25 miliardi di euro di soli costi diretti, a cui ne vanno aggiunti altri 11 di spese indirette.
Le armi più efficaci rimangono, come sempre, la prevenzione e la diagnosi precoce: si stima infatti che in Italia circa 4,5 milioni di persone sia in una condizione di pre-diabete e che 1,5 milioni siano addirittura ignari di essere affetti dalla malattia. In pratica, una persona diabetica su tre non sa di avere il diabete e quindi non si cura, rischiando così di sviluppare gravi complicanze e di scoprire la patologia soltanto quando sono già presenti danni di seria entità.
La condizione che precede il diabete di tipo 2, conosciuta anche come prediabete o meglio come intolleranza glucidica, è in genere caratterizzata sostanzialmente da una glicemia basale più alta del normale, ma non così tanto elevata da procedere con la diagnosi di diabete. Si tratta infatti di una situazione reversibile che può essere trattata soprattutto con il controllo della dieta e del peso, e che indica un rischio maggiore di sviluppare la malattia e di soffrire in aggiunta di patologie cardiovascolari. In genere in questo caso non si manifestano sintomi specifici, anche se – analogamente a quanto accade nel diabete vero e proprio – vi possono essere dei segnali d’allarme come aumento della sete, aumento della fame, senso di fatica, perdita di peso, minzione frequente, pelle scurita su collo, ascelle, gomiti, ginocchia, inguine e nocche, e vista sfocata.
Assai importante ai fini della prevenzione è quindi lo stile di vita che deve comprendere una dieta equilibrata, possibilmente povera di grassi e carboidrati e ricca di frutta e verdura, una costante attività fisica e un controllo almeno semestrale della glicemia, soprattutto nei soggetti a rischio.